Don Furio Gauss

DON GAUSS SI RACCONTA
(1)

Come promesso, abbiamo la gioia di pubblicare qualche stralcio della vita di don Furio, igs di Trieste, al quale i nostri due Istituti devono molto come si comprenderà leggendo le sue vicende.

Don Furio Gauss con don Emilio Cicconi

Nel 1959 mi era capitata una cosa che mi ha stupito e fatto pensare: poco prima che arrivasse la statua della Madonna e poi ci fosse la posa della prima pietra del Tempio di Monte Grisa, mi fu recapitato un biglietto firmato “sacerdote Giacomo Alberione”, con il quale il fondatore della Famiglia Paolina mi invitava a far parte di un istituto secolare per sacerdoti, per il quale lui aveva appena ottenuto l’approvazione pontificia. Il primo corso di Esercizi per aderire a questo istituto era previsto proprio per settembre 1959.

Don Alberione osava sempre

Ho dovuto rispondergli che lo ringraziavo per l’invito ma che proprio quei giorni dovevo essere a Trieste per organizzare due grandi eventi in programma. Per me questo invito era del tutto impensato: dopo la Provida Mater Ecclesia, cioè il documento con cui Papa Pacelli consentiva che ai voti fossero ammessi non solo i religiosi, ma anche i secolari – e anche il clero diocesano – erano sorti vari istituti secolari. Naturalmente cercai di capire come don Alberione fosse giunto a me con tale proposta. Lui era furbo, oltre che santo, e invitava le sue suore – le Figlie di San Paolo, ormai diffuse in tutte le diocesi italiane – a far conoscere l’editoria paolina attraverso i segretari dei vescovi. A Trieste le suore avevano messo in atto da tempo l’input del loro fondatore, anche se io le conoscevo già da quando ero stato appena nominato sacerdote; avevo celebrato proprio nella loro cappella – in via Rossini dove al piano terra c’era la loro libreria – una delle mie prime Messe. Loro avevano la consuetudine di avere in casa la Messa di mezzanotte a Natale, però anche di far celebrare le tre Messe di Natale consecutive. Mi invitavano e io ci andavo volentieri. Nella mia storia posso ritrovare diversi punti di contatto con la produzio ne paolina e con i Paolini. Negli anni della mia fanciullezza, in casa entravano alcuni giornali: Famiglia Cristiana, l’edizione della diocesi di Fiume di Vita Nuova e Pro Famiglia che era un rotocalco prodotto dall’Azione Cattolica. Durante il mio periodo di Seminario, nei vari passaggi per andare a Capodistria quando ero a Trieste ricorrevo spesso alle librerie San Paolo anche per i miei testi di studio. Come segretario del Vescovo – l’ho scoperto dopo – sono rientrato in quel piano che don Alberione aveva suggerito alle sue suore, sintetizzabile così: “I Vescovi hanno tanto da fare ma voi potete aggiornare i segretari dei Vescovi sulle nostre edizioni”.

Don G. Alberione

Coinvolgimento in iniziative paoline e non

Per conto della diocesi mi sono trovato ad occuparmi di cose che interessavano anche ai Paolini. Ad es., prima del Concilio c’era già a Trieste un Movimento per l’unificazione ecumenica e c’erano i contatti tra la comunità cattolica e le altre comunità religiose non cattoliche. Il Vescovo allora mi informò di un’iniziativa chiamata Ut unum sint promossa da una congregazione vaticana ma portata avanti da don Alberione e dai Paolini, tesa ad agevolare i rapporti esistenti fra le varie religioni cristiane. Così costituimmo a Trieste questo gruppo ecumenico che riceveva pubblicazioni da don Alberione e soprattutto organizzava la Settimana dell’Unione dei Cristiani.

Questo lavoro lo facevo in parallelo a quello di segretario del Vescovo. Ricordo che è venuta a Trieste una Figlia di San Paolo, suor Domenica Sammartino, che aveva proprio il compito di contattare le varie comunità per redigere un elenco completo delle forze cristiane cattoliche e non, come preliminare a quelle che sarebbero state le attività del Concilio e io l’ho agevolata nei contatti. Altre iniziative paoline in città erano facilitate per quello che si produceva già alle trasmissioni radiofoniche per cui noi avevamo ospitalità presso la RAI, ne curavamo i testi e li traducevamo in trasmissioni, erano esportabili. Lo facevamo già con Radio Vaticana e cominciammo a farlo con la “San Paolo”: sezione dischi, con le lezioni di catechismo che venivano prodotte allora nella Casa di Albano dove c’era un centro vocazionario di persone adulte e sempre in ottemperanza al principio di Alberione “che ciascuno deve mantenersi col proprio lavoro”. Pur non essendo strettamente paolina, c’era stata la mia esperienza con la radio, l’elaborazione di testi e la tenuta delle varie rubriche “Incontri dello spirito” e “Colloqui con le anime” anche con modalità sperimentali interessanti, le radioscene. C’erano già stati gli scambi tra i nostri testi e quelli di Radio Vaticana. C’è stata anche una prima cooptazione da parte di Mons. Giuseppe Dagri nella redazione del giornale Vita Nuova per scrivere articoli. Dopo la sua morte, gli sono subentrato nella direzione. Mi sembra di poter dire che tutte queste esperienze a livello locale si sono composte in un mosaico che rappresentava una delle mie attività pastorali: quella giornalistica. Io mi trovavo ad essere un collaboratore esterno dei Paolini, quando nel 1959 ricevetti quel famoso biglietto da don Alberione che mi invitava a fare gli Esercizi spirituali con coloro che erano interessati a far parte di uno degli Istituti secolari da lui avviati e appena approvati dal Papa, uno dei quali era riservato ai sacerdoti.

Ricerca delle motivazioni

Anche dopo aver capito come fosse arrivato a me, ritenevo che l’invito di don Alberione non fosse proprio adatto a me. Dopo un po’ di tempo osservai che continuavo a ricevere richieste dalla comunità paolina. Quando ero parroco a “Gesù Divino Operaio” ricevetti, una dopo l’altra, quattro brave signorine che si dedicavano al catechismo e alla diffusione della stampa che mi dicevano che si sentivano orientate a diventare Figlie di San Paolo. Io mi sentii in dovere di chiedere loro se sapevano che cosa questo comportasse. Essere Paoline, dicevo, non è solo stare in libreria a vendere i libri, perché dietro queste azioni c’è un percorso spirituale, ispirato a quello di San Paolo. Parimenti mi sentii anche in dovere di prepararle per aiutarle a discernere. Questa è stata l’occasione per me di prendere in mano dei testi del Fondatore, don Alberione, e di altri suoi collaboratori; così, attraverso la preghiera e l’impegno di studio teso a capire la spiritualità paolina, ho riflettuto che, senza saperlo, ero già coinvolto in quella rete di nuova evangelizzazione che si stava formando. Difatti come chiamare l’attività attraverso la radio che stavamo facendo, se non evangelizzazione? Nel frattempo ero stato anche cooptato prima nella diffusione e nella redazione poi alla direzione di Vita Nuova: mi sono dunque detto che la spiritualità c’era, l’apostolato dei mezzi di comunicazione pure. Don Alberione aveva ragione.

Io, come tutti i sacerdoti, frequentavo annualmente corsi di Esercizi spirituali, abitualmente in diocesi. Andavo anche da don Giovanni Rossi, il fon datore della “Pro Civitate Cristiana”, che si era specializzato nella formazione dei laici consacrati per le Missioni al popolo. Ad Assisi aveva messo in piedi quello che chiamava “Osservatorio Cristiano”, cioè ospitava persone di cultura per far vedere loro come attraverso i secoli le varie arti e la letteratura si erano occupati di Gesù Cristo. Lì ci andava ogni tanto anche qualche artista di quelli che l’opinione pubblica non definiva proprio cristiani; Pasolini, per esempio, quando era giù di tono andava da don Giovanni Rossi chiedendogli se gli permetteva di stare lì per qualche giorno. Fu lì che Pasolini trovò un testo del Vangelo nella sua stanza e si mise a leggerlo. Forse, da buon friulano, lo aveva letto già da ragazzo, ma quella volta ne trasse lo spunto per il film Il Vangelo secondo Matteo che poi realizzò. Durante la lavorazione del film chiese consulenza a don Rossi perché non voleva urtare in nessun modo i cristiani. Fu un film, che proprio perché firmato da Pasolini, attraverso uno scambio culturale tra associazioni italiane e sovietiche, arrivò anche in Russia dove fu proiettato, facendo conoscere Gesù anche a chi non lo conosceva.

Primo incontro con don Lamera

Durante gli Esercizi del 1967, memore dell’invito di Alberione, chiesi consiglio a don Rossi: “Secondo Lei è sufficiente che io faccia il prete o devo impegnarmi anche con voti specifici?”. Lui mi rispose che anche lui era un prete diocesano e aveva pure preso i voti, ma li chiamava “i voli” perché per lui costituivano un aiuto ulteriore per arrivare meglio all’imitazione di Cristo. Fu così che, finiti gli Esercizi, presi un treno e invece di tornare a Trieste, andai a Roma, dove mi presentai a don Lamera che era il delegato di don Alberione per l’Istituto Gesù Sacerdote. Lo trovai nella chiesa di San Giuseppe, sulla Portuense, perché egli era allora il superiore della Sampaolo Film. Era stato un uomo molto alto ma una malattia alla schiena lo aveva piegato già da giovane. Vedendolo assorto a pregare, aspettai pazientemente in disparte. Dopo un bel po’ mi permisi di battergli la spalla e gli chiesi se potevo parlargli. Lui si tolse gli occhiali, mi guardò dicendomi: “Tu vieni da Trieste?”. Alla mia risposta affermativa mi disse: “Ci hai messo del tempo per deciderti ad arrivare”. Mi trovai spiazzato perché, mentre io non sapevo nulla di lui, lui sapeva tutto di me. Mi sarei accorto più tardi che lui era un uomo che aveva dei doni particolari: ti leggeva dentro. Mi disse di presentare domanda e sarei entrato nell’Istituto Gesù Sacerdote come novizio. Prima di intraprendere i miei due anni di noviziato, ritornai a Trieste e ne diedi informazione al Vescovo che ne fu contento (continua).

Don Furio GAUSS, igs di Trieste

Da: Gesù Maestro   Novembre-Dicembre-4-2022

DON FURIO GAUSS SI RACCONTA
(2)

Pubblichiamo la seconda parte del racconto di don Furio, igs di Trieste, al quale i nostri due Istituti devono molto come si comprenderà leggendo le sue vicende. Pertanto gli siamo molto grati.

Per ora siamo ancora negli anni ‘60, a Trieste nascono vocazioni religiose tra le Paoline che fanno capo alla parrocchia di Gesù Divino Operaio. Nell’ambito secolare invece, ci sono persone che sono entrate nell’Istituto Maria Santissima Annunziata per le nubili, e nell’Istituto Santa Famiglia che è per i coniugi, altre nell’Associazione Ancilla Domini che si dedica in particolare all’assistenza di sacerdoti sia anziani che malati.

Il riconoscimento degli Istituti secolari

Quando don Alberione che era sempre stato fragile di salute, aveva chiesto il riconoscimento degli Istituti secolari, era già molto anziano e provato. Lui, nei suoi scritti, dice di aver lottato con il Signore, ben sapendo che nella Chiesa ci sono già tante fondazioni a cui dover pensare. Ne fece oggetto di preghiera nelle sue lunghe soste diurne e notturne dinanzi il Tabernacolo. Poi però ha preso un foglio di carta su cui ha scritto: “Signore, mi arrendo, Tu hai vinto. Col tuo aiuto cercherò di far riconoscere anche questi istituti secolari. Però richiedo delle vocazioni di prima scelta, Ti chiedo che alle nostre povere risorse sia data una moltiplica di grazia come la sai dare Tu. Richiedo una specialissima protezione della Mamma Tua, la Regina degli Apostoli”.

Don Furio Gauss

Firmò il foglio e lo ripose nel Tabernacolo. Dopo andò dal Cardinale Larraona, prefetto della Congregazione dei religiosi, e gli disse: “Il Signore vuole, oltre ai religiosi e religiose Paolini, anche il ramo secolare della Famiglia Paolina. “Va bene – rispose il Cardinale – Lei li prepari e quando saranno pronti ce li presenta e noi daremo il riconoscimento”. “No, no – obiettò don Alberione – io non ho tempo, sono vecchio; mi deve dare l’approvazione subito”. Viste le sue insistenze il Cardinal Larraona stabilì: “Il responsabile sarà Lei anche per gli istituti secolari. Li facciamo aggregati alla Società San Paolo. Così Lei, Alberione, risponde per tutti. Tanto Lei ha già dimostrato di essere un vocazionista provetto e troverà adepti anche per i suoi istituti”. Fu così che nel 1960 c’è stata l’approvazione degli Istituti secolari paolini. Poi, a distanza di qualche anno, sono decollati tutti. Non così l’Istituto Santa Famiglia perché i sacerdoti paolini, ben impegnati con gli strumenti della comunicazione, non avevano però responsabilità pastorali. Per proporre alle coppie sposate una consacrazione con i voti, bisogna conoscere in loro già esistenti le virtù coniugali.

Ultimi incontri con il Primo Maestro

Agonia di don Giacomo Alberione

Nell’anno 1971 ero ad Ariccia per predicare gli Esercizi spirituali ai membri del Capitolo generalizio. All’ultima mia meditazione arrivò nella chiesa del Divino Maestro anche don Alberione. Con lui ero rimasto solo io. Lo accompagnai lentamente lungo le scale, sostenendolo a braccetto, fino al refettorio. Parlava a fatica, ma lucidamente, con domande precise sulla attività del Centro Ut Unum Sint che, d’accordo con il mio Vescovo, Mons. Antonio Santin, mi aveva affidato per la Diocesi di Trieste e sulla collaborazione per l’allestimento di radioscene bibliche che poi, ad Albano, venivano incise su dischi catechistici dai Paolini. Sei mesi dopo, a novembre, mi recai a Roma per partecipare ad un convegno sulla pastorale con i mass-media, organizzato dalla CEI. Il 25 novembre, di mattina, prima che iniziassero i lavori alla Domus Mariae, pensai di recarmi a celebrare la Santa Messa al Santuario della Regina degli Apostoli. Mi assegnarono il piccolo altare alla base del grande mosaico absidale. In sacrestia trovai un via vai di confratelli che provenivano da varie località.

Motivo: si era diffusa la notizia di un peggioramento della salute del Primo Maestro. Venivano per vederlo, salutarlo, per avere ancora da lui una benedizione. Io pure avevo un motivo per vederlo. Perciò scesi in via Alessandro Severo e trovai il modo di non fare molta anticamera. Don Alberione era nella sua stanza disteso su una branda di metallo, con la maschera d’ossigeno e, accanto, una suora Pia Discepola, sr Giuditta, la sua solerte infermiera. Mi inginocchiai a lato della branda per essere più vicino al suo volto e gli comunicai ciò che lui doveva sapere prima di morire, perché lo aveva tanto desiderato in vita. “Signor Primo Maestro, Le porto una buona notizia: a Trieste, ci sono cinque coppie di coniugi disposti a consacrarsi con i santi voti nell’Istituto Santa Famiglia per il quale Lei ha ottenuto in anticipo l’approvazione dal Cardinale Larraona della Congregazione Vaticana”. Lui disse per tre volte: “Deo gratias” e poi “Benedico”. Gli baciai la mano a lungo. Andai poi subito dal nuovo Superiore Generale, don Zanoni, e lo misi al corrente di ciò che era più importante di quanto pensassi. Mi rispose: “Lo sa che questi sono i primi coniugi che entreranno nell’Istituto Santa Famiglia? Finché il chicco di grano caduto in terra non marcisce e muore, la spiga non può crescere e maturare. Don Alberione con la sua agonia dolorosa ha meritato anche questo”.

Papa Paolo VI

Il giorno dopo, 26 novembre, ero nuovamente in via Alessandro Severo, quando, a sorpresa, arrivò il Papa Paolo VI, a benedire e venerare don Alberione. Un fotografo, all’ingresso del Papa nella stanza di don Alberione, scattò un impietoso flash: il volto del Papa, il suo sguardo denotavano sorpresa, smarrimento, per la povertà dell’ambiente privo di un arredo, per la austerità del giaciglio, per la diafana figura del morente. “Oh don Alberione!”, gli disse il Papa. Lui, ancora vivo, quasi inspiegabilmente a giudizio dei medici, come se per un’ultima grazia dovesse ricevere la benedizione del Papa in persona. Ma non ebbe ormai più la possibilità di riconoscerlo e gioirne. “Le daremo ancora l’assoluzione”, disse il Papa. Sostò in preghiera e poi, commosso, lasciò il suo nome in un registro aperto sul vecchissimo scrittoio che aveva accolto il lavoro di tutta la vita di Alberione. “E questo era anche il suo studio?”, domandò. Io ero accanto a don Lamera e a don Zanoni. Don Lamera ci disse: “Ora il Primo Maestro può andare in cielo. Papa Montini ha voluto restituirgli la visita che, anni fa, gli fece, quando nuovo Arcivescovo di Milano, all’ingresso in Diocesi, si prese un acquazzone e poi la polmonite. Alberione volle visitarlo e gli predisse la guarigione ed altre cose importanti che gli sarebbero capitate poi”. Quando il Pontefice ritornò in Vaticano era già giunta la notizia che don Alberione era spirato. Le lancette del suo grande orologio vennero fermate alle ore 18.25 del 26 novembre 1971.

Offerta della vita per le vocazioni

A Roma, il 4 gennaio 1972, a conclusione di tre giornate di preghiera e studio dei sacerdoti membri dell’Istituto Gesù Sacerdote, don Lamera ci portò a concelebrare nel Tempio del Divino Maestro in via Portuense. Il Superiore Generale, don Zanoni, presiedeva la concelebrazione. Fu allora che egli affidò a don Lamera ed a noi la crescita del neonato Istituto Santa Famiglia. Dopo la celebrazione salimmo con don Zanoni a visitare sr Giuditta, la Pia Discepola che aveva assistito don Alberione fino all’ultimo. Malata lei stessa, aveva chiesto al Signore di concederle una tregua per assistere il Primo Maestro. Ed era stata esaudita. Concluso questo compito, ora aveva ripreso la sua condizione di malata e quando mi vide disse: “Ho gioito quando vicino al letto di don Alberione, ho udito la bella notizia dell’Istituto per i coniugi. Ora offro quanto mi rimane di vita per la crescita di questo Istituto”. La sofferenza di sr Giuditta durò ancora pochi giorni: morì il 20 gennaio 1972. Il rapido sviluppo delle famiglie consacrate ci svelò quanto fossero preziosi gli offertori di don Alberione e di sr Giuditta. Ci sono delle vocazioni che appaiono chiare. La mia vocazione a diventare prete ha le radici nell’infanzia; a Fiume; già da ragazzino, quando servivo Messa a sei, sette anni certamente avevo dei modelli, guardavo i preti che avevo vicino, fra i quali anche Mons. Santin. C’era indubbia simpatia per le sue doti umane, ma era anche elemento di mediazione carismatica. Chi ha avuto occasione di vivere accanto a lui ne ha avuto beneficio e io credo di essere stato beneficato. Nel mio immaginario di ragazzino quel tipo di Vescovo era qualcosa che colpiva.

La mia vocazione al sacerdozio è stato un percorso chiaro e lineare che – per le contingenze storiche – si è svolto in vari passaggi. A ripensarci però non posso non notare la lenta tessitura vocazionale paolina. Io sono arrivato all’ordinazione sacerdotale attraverso San Paolo per merito di un ebreo convertito innamorato di San Paolo, Marcello Labor, il quale arrivando a Capodistria ha fatto largamente supplenza del padre spirituale. Noi seminaristi ascoltavamo più volentieri le meditazioni di Labor che si ispirava e citava San Paolo, che altri, pur venerandi, sacerdoti. I principi che animavano il pensiero paolino erano l’universalità, il saper cogliere le occasioni di scoprire Dio che si rivela nelle creature e nelle situazioni della storia. Sono diventato sacerdote e ho operato nella mia diocesi così come mi veniva richiesto dal mio Vescovo di allora e da quelli che sono seguiti. Mi sia consentito pensare che San Paolo mi ha regalato una marcia in più.

Don Furio GAUSS, igs di Trieste

Da: Gesù Maestro   Gennaio-Febbraio-Marzo-1-2023

Diocesi di Trieste.
Nella sera di lunedì 6 marzo, il Signore ha chiamato a sè, dopo 71 anni di ministero sacerdotale, mons. Furio Gauss, di anni 93, Canonico Scolastico del Capitolo Cattedrale di San Giusto martire.

Condoglianze

Istituto Maria SS.Annunziata