Digiuno

IL DIGIUNO
Tempo di penitenza

Cammino quaresimale

La Quaresima è un tempo di conversione, di ritorno a Dio, di ripensamento, di pentimento. È un tempo – riflette D. Tessore – per riflettere sul cammino della propria vita, sul senso della propria esistenza, è un’occasione per fermarsi e chiedersi: dove sto andando? A che servono le attività che mi occupano tutta la vita, il lavoro, i divertimenti, gli impegni?
Qual è il senso di tutto ciò? Quale ruolo ha Dio nella mia vita? La mia religiosità, il mio frequentare la Chiesa, il mio pregare, sono sinceri o sono diventati un’abitudine vuota? La Quaresima deve guidare a riscoprire la preghiera intima, il rivolgersi a Dio nel segreto della propria stanza, per riacquistare il senso della sua presenza.
Il digiuno al quale ci invita la Chiesa in questo tempo «non nasce certo da motivazioni di ordine fisico o estetico, ma scaturisce dall’esigenza che l’uomo ha di una purificazione interiore che lo disintossichi dall’inquinamento del peccato e del male; lo educhi a quelle salutari rinunce che affrancano il credente dalla schiavitù del proprio io; lo renda più attento e disponibile all’ascolto di Dio e al servizio dei fratelli» (Benedetto XVI).
Oggi nella società del benessere, il senso della parola “digiuno” si coglie a fatica. Il consumismo, invece di placare i bisogni, ne crea sempre di nuovi.
Tutto sembra necessario e improrogabile e si rischia di non trovare più il tempo nemmeno per stare un po’ con se stessi. È allora più che mai attuale il monito di sant’Agostino: «Rientra in te stesso». Dobbiamo rientrare in noi stessi, se vogliamo ritrovare noi stessi. Il digiuno penitenziale, tra gli altri significati, ha anche quello di aiutarci in questo recupero dell’interiorità.

L’Antico Testamento

La pratica del digiuno – astenersi per un certo periodo di tempo più o meno lungo, da tutti o alcuni alimenti – è così universale che difficilmente si troverebbe una religione o cultura, antica o moderna, in cui essa non esista. Nell’Antico Testamento il digiuno è l’atteggiamento di colui che, pur mettendo in gioco tutte le proprie risorse, conta anzitutto sull’aiuto del Signore. Il digiuno è un atto di supplica, una preghiera per essere liberati da una prova o aiutati nel pericolo, un gesto concreto di abbandono fiducioso e totale in Dio.
I profeti di Israele, reagendo al formalismo e all’ipocrisia dei loro contemporanei, sottolinearono la necessità di accompagnare i digiuni con un atteggiamento interiore che fosse corrispondente ai gesti e raccomandarono ripetutamente di non trascurare i precetti essenziali dell’amore al prossimo e della giustizia sociale: «Nel giorno del vostro digiuno voi curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi colpendo con pugni iniqui… È forse come questo il digiuno che bramo?… Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, dividere il pane con l’affamato?» (Is 58,3ss).
Il digiuno è stato una caratteristica dei grandi uomini del popolo di Israele che, con l’aiuto di Dio, rivoluzionarono il corso della storia. Furono uomini deboli, impauriti, poveri, che tuttavia non esitarono ad affrontare i potenti, i falsi profeti, i pericoli, i tempi difficili, poiché tutta la loro fede era riposta nell’unico e vero Dio. Privandosi di cibo, riconoscevano i limiti della loro forza umana e si appellavano alla forza di Dio, che solo li poteva salvare.

Il Nuovo Testamento

Gesù non impone in modo esplicito ai discepoli nessuna pratica particolare di digiuno e di astinenza, ma ricorda la necessità del digiuno perlottare contro il maligno (cfr. Mt 4,1ss).
Gesù, tuttavia, critica alcuni aspettidella pratica del digiuno. Per esempio, disapprova chi si limita a giudicaresolo dalle apparenze: «È venuto Giovanni che non mangia pane e non bevevino, e voi dite: ha un demonio. È venuto il Figlio dell’uomo che mangia ebeve, e dicono: ecco un mangione e un beone» (Mt 11,18ss). Reagiscecontro il digiuno farisaico che si osservava il lunedì e il giovedì – che nellatradizione cristiana sono diventati il mercoledì, in ricordo del tradimento diGiuda, e il venerdì, giorno della passione e morte di Gesù – il quale eraintriso di ostentazione e superbia:«O Dio, ti ringrazio che non sono comegli altri uomini… Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quantopossiedo…» (Lc 18,9-14).
Gesù vuole che il digiuno diventi un momento privilegiato di silenzio, di solitudine, di rapporto intimo con il Padre: «Quando digiuni… la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto, e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,16-18). Il digiuno deve avvenire «nel segreto» (cioè nel tempio del proprio cuore, là dove abitano il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo), «nella verità» (il lavarsi il volto, significa stare senza maschere di fronte a Dio) e «nella gioia» (il profumarsi il capo era usanza degli Ebrei nel giorno di festa).
Gesù, prima di iniziare la sua vita pubblica, pregò e digiunò per quaranta giorni nel deserto (cfr. Mt 4,2) per prepararsi all’opera che lo aspettava e consacrarsi alla volontà del Padre: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 4,34). Con la venuta del Figlio di Dio il digiuno  assume un nuovo significato, diventa il mezzo per far memoria della passione e morte di Gesù: «Ma verranno i giorni, in cui lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno» (Mc 2,18-20).
Il cristiano è chiamato a vivere il digiuno in un atteggiamento di apertura totale alla grazia del Signore, in attesa del suo ritorno. Quello del cristiano è un digiuno “di lutto”, ma anche e soprattutto un digiuno di attesa. Con il digiuno si testimonia la fame e sete del Regno e l’aspirazione a essere un giorno saziati dalla gioia dello Sposo, che tornerà a celebrare le nozze eterne con la Sposa redenta: l’umanità (R. Russo).
Secondo Paolo, il cristiano animato interiormente dallo Spirito Santo, è ormai libero nei confronti della Legge; non ci sono più prescrizioni e divieti alimentari particolari, anche se il cristiano ha l’obbligo di vigilare su se stesso e di darsi una disciplina: «Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda…» (Rm 11,47); «quanto a me, tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù…» (1Cor 9,27); «chi mangia, mangia per il Signore… chi non mangia, se ne astiene per il Signore» (Rm 14,6).

Il digiuno “completo”

Il digiuno autentico, che non si limita alla pura devozione, ci immette in un cammino di conversione autentica di tutto l’essere. È rinuncia all’ingordigia del cibo, ma anche all’ingordigia delle parole cattive, delle cose vane, dei sentimenti negativi. Non basta un digiuno fatto di cibo: «A Dio devi offrire un digiuno diverso, e cioè: non compiere nulla di male nella tua vita, ma servi il Signore con cuore puro; osserva i suoi comandamenti e progredisci nei suoi precetti; non ammettere nel tuo animo nessun desiderio cattivo, ma confida in Dio» (Il Pastore d’Erma). Bisogna digiunare da tutto ciò che può essere d’ostacolo a una vita spirituale fondata sull’incontro quotidiano con Dio. Quanti pensieri e parole, quante azioni, quante letture e immagini, quanti discorsi e giudizi, quanti lussi e sprechi frenano il cammino spirituale del cristiano. Per qualcuno il digiuno più necessario potrebbe essere il digiuno dalle parole: «Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca…» (Ef 4,29). Per altri sarà più urgente il digiuno dai pensieri cattivi, dagli scatti d’ira, dall’orgoglio, ecc. Paolo VI, nella Costituzione apostolica Paenitemini, già invitava ad  allargare il raggio dei contenuti del digiuno: «Si eserciti la virtù della penitenza nella fedeltà perseverante ai doveri del proprio stato, nell’accettazione delle difficoltà provenienti dal proprio lavoro e dalle convivenze umane, nella paziente sopportazione delle prove della vita terrena». Anche un documento della Cei estende gli orizzonti del digiuno, suggerendo alcuni “cibi” da cui astenersi: «La ricerca incessante di cose superflue, accettando acriticamente ogni moda e ogni sollecitazione della pubblicità commerciale… la ricerca smodata di forme di divertimento che non servono al necessario recupero psicologico e fisico, ma sono fine a se stesse e conducono ad evadere dalla realtà e dalle proprie responsabilità; l’occupazione frenetica, che non lascia spazio al silenzio, alla riflessione e alla preghiera; il ricorso esagerato alla televisione e agli altri mezzi di comunicazione, che può creare dipendenza, ostacolare la riflessione personale e impedisce il dialogo» (Nota pastorale. Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza).
Scrive Giovanni Crisostomo: «Non digiuni soltanto la bocca, ma l’occhio e l’udito e i piedi e le mani e tutte le membra del nostro corpo digiunino.
Digiunino le mani monde da ogni rapina e avarizia; digiunino i piedi evitando di dirigersi verso spettacoli illeciti; digiunino gli occhi imparando  a non lanciare mai sguardi ammiccanti… digiuni anche l’udito non ascoltando mai maldicenze e calunnie».

La salute del corpo

Digiunare non significa morire di fame. Il nostro corpo possiede delle riserve e si muove con intelligenza durante l’assenza di cibo, attingendo, dalle varie riserve, grassi, zuccheri, proteine.
La cosa meravigliosa del nostro corpo è che inizia ad attingere dai tessuti malati dove vi sono tossineda espellere, ripulendo in tal modo le cellule intossicate. Dopo una tale ripulitura, gli organi rip rendono a funzionare meglio perché depurati. Di conseguenza spariscono alcune malattie che in certi casi neppure la medicina tradizionale riesce a debellare. Scrive il dottor O. Buchinger riguardo agli effetti del digiuno: «Ciò che è malato scompare, ciò che è sano rimane».
Un altro esperto parla di «un grande effetto di rigenerazione del corpo» (W. Zabel). I tessuti inutili e nocivi vengono “digeriti” fino a scomparire, mentre quelli utili vengono riportati alla loro integrità (A. Gentili).
È l’ansia che sovente ci spinge a mangiare con voracità e disordinatamente, ma il rimpinzarci di cibo non fa che aumentare le nostre angosce interiori. Il digiuno è stato definito “il tranquillante della natura”, rilassa il sistema nervoso e calma le turbe del sonno. Il digiuno ci regala un corpo più disteso e quindi più disponibile alla meditazione e alla preghiera.
Il buon funzionamento del corpo ha effetti sullo spirito perché i due sono strettamente uniti e l’uomo è l’unità di ambedue: «Chi digiuna avverte che nella sua struttura spirituale, nella funzionalità della sua psiche, molte cose cambiano. La capacità di comprendere è spiritualizzata, la fantasia è più vivace, la concentrazione più costante, i sensi sono più perspicaci… proprio come se una sorta di liberazione e scioltezza fosse sopravvenuta nella struttura dell’anima, una nuova chiarezza sulla situazione e una più affinata sensibilità… Viene fuori la vera indole; è un ritrovarsi.
Il nostro intimo punto d’appoggio, il nostro centro viene scoperto; in una parola, la nostra intima dimora… rioccupata» (O. Buchinger).

Disciplina che libera

Con il digiuno si inizia la lotta contro i vizi, quei nemici dell’anima che vogliono distogliere dalla concentrazione in Dio. Dice un autore: «Se un re vuol prendere una città nemica, comincia a toglierle i rifornimenti d’acqua e viveri; quando è alla fame quella s’arrende. Vale anche per le passioni della carne. Quando si comincia una campagna contro le passioni digiunando e afferrandole, quelle nemiche dell’anima diventano impotenti» (G. Kobolos). Il digiuno obbliga l’uomo alla disciplina, lo libera dal predominio delle sue passioni, contribuisce a «farci acquistare il dominio sui nostri istinti e la libertà del cuore» (Catechismo della Chiesa Cattolica). Un prefazio del tempo di quaresima fa pregare così: «Con il digiuno quaresimale tu vinci le nostre passioni, elevi lo spirito, infondi la forza e doni il premio».
Il digiuno è un combattimento spirituale, un’autodisciplina a cui si sono sottoposti uomini di pensiero e asceti di ogni tempo. La sua funzione principale è di purificare la mente per poter rafforzare la volontà e guidare gli istinti disordinati dell’uomo “carnale” verso realtà divine. Solamente  attraverso uno sforzo lento e paziente e una pratica protratta nel tempo, ad esempio in Quaresima, l’uomo ristabilisce in sé il primato dello spirito (A. Gentili).
Chi non sa digiunare, chi non sa negarsi ogni tanto una cosa che si può permettere, non sa neanche negarsi cose proibite. Scrive sant’Ambrogio: «La tua carne è sotto di te: non seguire le sollecitazioni della carne fino alle cose illecite, ma frenale alquanto anche per quanto riguarda quelle lecite.
Infatti chi non si astiene da nessuna delle cose lecite, è prossimo pure a quelle illecite».
Di conseguenza, la volontà sarà sempre più debole, fragile, e non essendo rafforzata con le piccole mortificazioni non avrà la forza di respingere le tentazioni, né di frenare i propri impulsi e istinti, con il rischio di essere sempre più dipendente e schiavo del peccato.
Nella disciplina ascetica (dal greco áskesis, che significa “allenamento”) il digiuno ha un posto importante. Esso consiste nell’esercitarsi a rinunciare ai piaceri, in modo tale da acquistare la capacità di farne a meno. E questo non perché essi siano in sé cattivi, ma solamente perché troppo spesso ne siamo dipendenti e condizionati, e ne siamo talmente soggiogati da essere incapaci di resistere, anche quando lo vorremmo.
In questo senso «il digiuno è una scuola di autocontrollo» (sant’Ambrogio). Si tratta infatti di acquisire una padronanza sulla volontà: «La temperanza consiste non nell’astenersi dai cibi materiali, bensì nella completa astensione dalla propria volontà» (san Basilio). Allora la cosa grave, nel digiunare, non è tanto «l’assunzione del cibo, quanto la trasgressione del precetto»
(san Giovanni Cassiano), poiché lo scopo non è dimagrire o farsi del male, bensì padroneggiare la propria volontà ed essere capaci di rispettare una disciplina (per es. astenersi da certi cibi, o mangiare solo a ore fisse, ecc.), anche quando le passioni, cioè i capricci della volontà, l’abitudine e gli impulsi del corpo, ci spingono a fare diversamente (D. Tessore).

Cammino di umiltà

È interessante notare che la radice ebraica del verbo digiunare (’anah) è la stessa del verbo riflessivo “umiliarsi”. L’astensione fisica dal cibo, con la conseguente sensazione di fame, di dolore e di fatica, si traduce automaticamente, sul piano psicologico, in un’attitudine di umiltà, di sincero pentimento. Una preghiera autentica a Dio, una supplica sincera verso l’Altissimo presuppone «uno spirito umile e un cuore contrito; ma chi si pasce di cibi prelibati non può avere uno spirito umile e un cuore contrito» (san Basilio). Se uno si inorgoglisce nel digiuno è segno che non ne ha ancora capito l’essenza. Il vero digiuno rende l’uomo sempre più umile. Si legge nei Padri del deserto questa sentenza: «“Cosa recano al monaco il digiuno e la veglia?”. Gli rispose il saggio: “Rendono umile la sua anima”». E ancora: «L’anima non diventa affatto umile se non le razioniamo il pane» (Abbé Poimen).
È il digiuno a insegnarci il timor di Dio, a renderci umili. Esso ispira in noi, dice Gandhi, «la consapevolezza che non possiamo, con superbo orgoglio, avvicinarci a Dio con le nostre forze, ma soltanto nella mansuetudine della debolezza. Nel digiuno l’uomo si mette nelle mani di Dio.
Nella sua impotenza, si mette umilmente davanti all’Onnipotente e l’implora».
Nel digiuno l’uomo ammette la propria condizione di creatura, l’abisso del suo nulla, e prega Dio suo creatore, il solo che può risolvere la sua miseria. Il digiuno ci conduce a una illuminazione vera solamente se ci porta, nello stesso tempo, alla coscienza della nostra impotenza. Il digiuno ci spinge nell’abisso della nostra debolezza e, nell’abisso della nostra povertà, incontriamo l’abisso della ricchezza di Dio.

Priorità dell’amore

Un test per sapere quando si digiuna in modo corretto, è vedere come ci si comporta con gli altri e come si discorre di loro. Se parlo male di un altro, non ho capito il senso del digiuno. L’amore dei fratelli è più grande del digiuno. Il digiuno deve cessare, se dovesse impedirci l’amore dei fratelli. Il digiuno deve essere a servizio dell’amore dei fratelli. Dove ciò non avviene, lì il digiuno è pervertito e perde il suo senso.
Tutti i risparmi che il digiuno procura bisogna darli ai poveri e ai bisognosi: «Nel tuo giorno di digiuno devi prendere soltanto pane e acqua.
Poi devi contare ciò che quel giorno avresti speso per mangiare e devi darlo a una vedova, a un orfano o a un bisognoso» (Il Pastore di Erma). Già il filosofo Aristide scriveva dei cristiani nella sua apologia indirizzata nell’anno 128 all’imperatore Traiano: «Se tra di essi c’è un povero bisognoso di aiuto, digiunano due o tre giorni e sogliono inviargli il cibo che avevano preparato per sé». Esorta sant’Ambrogio: «Quanto sarebbe religioso il digiuno se quello che spendi per il tuo banchetto lo inviassi ai poveri!» e Leone Magno: «L’astinenza di chi digiuna, diventi cibo del povero».
Il digiuno ci invita a condividere ciò che ci appartiene, perché quello che abbiamo in più non è nostro, ma del misero che invoca. L’esasperato consumismo del vivere moderno è un insulto alla miseria di molti e non può lasciar tranquillo nessuno. Tutti dobbiamo sentirci responsabili delle diffuse situazioni di povertà
(R. Russo).
Non ha senso digiunare per amore di Dio e poi comportarsi male nei riguardi dei fratelli: «Se digiuni per due giorni non ti credere per questo migliore di chi non ha digiunato. Tu digiuni, ma forse ti adiri; un altro mangia, ma forse pratica la dolcezza. Tu sfoghi con rabbia la tensione dello spirito e la fame dello stomaco; l’altro invece si nutre con moderazione e rende grazie a Dio» (san Girolamo).
Un digiuno senza amore del prossimo non serve a nulla: «A che serve – scrive Massimo di Torino – essere pallido per il digiuno, se poi diventi livido per il rancore e l’invidia? A che serve non bere vino, se poi ti ubriachi con il veleno dell’iracondia? A che serve astenersi dalla carne, se intanto si dilaniano le membra dei fratelli con malignità e calunnie?». Senza amore tutto è inutile: «Sappiate, fratelli miei, che se non perdonerete di cuore ai vostri nemici, tutto ciò che fate, si tratti di digiuni o di elemosine o di qualunque altra buona azione, è inutile» (sant’Agostino).
Gli fa eco Leone Magno: «Inutilmente si sottrae cibo al corpo se l’anima non si converte dall’iniquità e la lingua non si frena dalle maldicenze». Papa Francesco ci ricorda che «il digiuno più difficile è il digiuno della bontà» però «quello è il digiuno che vuole il Signore! Digiuno che si occupa della vita del fratello».

“Fame” di Dio

Il digiuno ci consente di aprirci a un’altra fame, un altro cibo, un’altra sazietà e ci trasforma da “carnali” in “spirituali”. Ai discepoli che lo invitavano: «Maestro, mangia!» Cristo rispose: «Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete» (Gv 4,31-32). Attraverso il digiuno l’uomo può comprendere che vive molto di più per la Parola che non per il pane: Dio fece provare la fame al suo popolo, per insegnargli che «l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore» (Dt 8,3). La Parola che esce dalla bocca di Dio risulta il primo e indispensabile “alimento”.
Il digiuno serve soprattutto per comunicare più intensamente con Dio.
«Il digiuno ha lo scopo – scrive R. Laurentin – di alimentare la preghiera. La persona satolla, che passa dalla febbre dei desideri all’ebetismo dell’appagamento, deve riscoprire in se stessa la fame e la sete di Dio.
 I sazi di questo mondo sono poco aperti a Dio. Il digiuno volontario ritaglia dentro di noi un’apertura a Dio». Scrive P. Yogananda, un mistico indù: «La salute non è lo scopo della vita.
Lo scopo della vita è la comunione con Dio.
Il digiuno è uno dei mezzi più grandi per avvicinarci a Dio». Il digiuno spiritualizza il nostro corpo, lo strappa al dominio del ventre e lo rende libero per le cose spirituali. Attraverso il digiuno ci stacchiamo dalle cose terrene. Ci si libera da tutti i desideri e da tutte le aspirazioni puramente materiali. Sempre più si trova appagamento in Dio (R. Lejeune).
Il digiuno ci mette in prossimità di Dio, ci fa vedere con maggior chiarezza Dio e i suoi segreti e ci rende più facile una duratura intimità e un confidente rapporto con Lui. Il digiuno è “il grido all’invisibile Sposo perché torni” (Isacco di Ninive). Nel digiuno si esprime la nostalgia del Signore che viene. Con l’intera esistenza, con il corpo e con l’anima, protendiamo verso il Signore, perché sazi il nostro profondo anelito.
Con il digiuno prepariamo l’anima per Dio: «La terra è aperta dall’aratro per essere pronta a ricevere la sua semente, la terra della mia anima è arata dai digiuni perché sia pronta a ricevere la semente celeste» (Massimo di Torino). I pittori di icone russi digiunavano almeno un giorno prima di dipingere, in modo da prepararsi degnamente per entrare, umilmente e in punta di piedi, nella dimensione spirituale. Scrive Crisostomo: «Il digiuno rende l’anima più vigorosa, le dà ali leggere, la innalza dalla terra a contemplare le realtà di lassù… esso rende più agile la mente, la rende atta ad attraversare con agilità il mare di questa vita fino a contemplare il cielo».
«Dobbiamo dare all’orazione – scrive sant’Agostino – le ali dell’elemosina e del digiuno, se vogliamo volare più facilmente verso Dio». Il digiuno dei cristiani è sentire la mancanza di Cristo, è sentire il desiderio di Gesù. Il cristiano sente la distanza che ancora lo separa da Lui, ed ha il desiderio di colmare nel più breve tempo possibile, questa distanza.
Privato della visione dell’Amato, lo cerca con ansia e, nel l’attesa, il suo corpo partecipa al dolore della veglia. Com’è triste vedere cristiani che non hanno alcuna fame e sete di Cristo!
Maria, umile ancella del Padre, Madre e Maestra nostra, insegnaci a esercitarci nel distacco dai beni terreni, per aderire sempre più liberamente e pienamente alla santa volontà di Dio. Amen.

Un giorno fu dato ordine alla comunità di Scete di digiunare per quella settimana. E accadde che dall’Egitto venissero dei fratelli in visita ad abba Mosè, ed egli fece per loro un po’ di brodo.
Vedendo del fumo, i vicini dissero ai chierici: «Ecco, abba Mosè ha infranto il precetto e si è fatto un brodo». Essi dissero: «Ne parleremo con lui quando verrà». Giunto il sabato, i chierici all’udire del nobile comportamento adottato da abba Mosè gli dissero: «Abba Mosè, hai infranto il precetto degli uomini, ma hai custodito quello di Dio»

pagina dal libro: RI-ORIENTARE LA VITA – di Vito Spagnolo