Antonio Castelli

50° Anniversario dell’Istituto

«STO ALLA PORTA E BUSSO… VIENI, SIGNORE GESÙ»

Carissime sorelle,

l’anno nuovo si apre nel segno della fiducia e della speranza perché la Parola che il Signore ci rivolge in questa circostanza è proprio all’insegna di questi due atteggiamenti dello spirito che determinano il cammino di un nuovo anno: «Ecco, io sto alla porta e busso, dice il Signore. Se qualcuno ascolta la mia voce, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3, 20). Da una parte c’è l’iniziativa del Signore che incessantemente bussa alla porta del nostro cuore e ci assicura: io voglio entrare nella tua vita, voglio farti sperare che io stesso ti darò la capacità di sperare in me, ti donerò me stesso; dall’altra la possibilità di mettersi in ascolto di ciò che il Signore vuole per accoglierlo nella nostra casa.

Attesa e venuta

Sto alla porta e busso… Vieni, Signore Gesù (cfr. Ap 3, 20; 22, 20). Le due invocazioni esprimono l’anelito dell’uomo verso un evento risolutivo, che venga a sanare, a riscattare il suo vivere in un tempo intriso da difficoltà, da sofferenza, da solitudine. È l’anelito verso il venire del tempo di Dio nel tempo dell’uomo. Ma questo tempo viene? Sta venendo ? e come viene l’attesa? L’affermazione dell’Apocalisse è di una incomparabile densità, in cui i richiami dell’Antico testamento si uniscono a reminiscenze di parole dette da Gesù per indicare la certezza del venire di Gesù, il suo carattere misterioso, la trepidazione dell’attesa, la gioia dell’incontro imminente, la felicità alla quale esso darà luogo per sempre. L’insieme di tali sentimenti caratterizza l’atteggiamento su cui il nuovo testamento ritorna: la vigilanza. È il modo di porsi da parte nostra, non vivendo ripiegati su noi stessi e neppure soltanto sul presente, bensì sul Signore e su ciò che egli prepara per il futuro dell’umanità.

Perchè vigilare

L’ultimo insegnamento pubblico di Gesù, secondo il vangelo di Luca, è un’ammonizione a vigilare: «vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo» (Lc 21, 36). L’ammonizione a «vegliare», a «stare attenti», ad «aver cura», ripresa da Marco e da Matteo nei loro vangeli, è anche tenuta presente dagli apostoli e dai discepoli in tante occasioni: «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge… Vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, non ho cessato di ammonire tra le lacrime ciascuno di voi» (At 20, 28-31). La vigilanza raccomandata riguarda tutto l’uomo, spirito, anima e corpo, e investe tutte le sfere relazionali della persona, la relazione con se stesso, con le cose, con gli altri, con Dio. i Padri del deserto fanno eco alle esortazioni neotestamentarie: «non abbiamo bisogno di nient’altro che di uno spirito vigilante», e s. Basilio si domanda: «Che cosa è proprio del cristiano? vigilare ogni giorno e ogni ora ed essere pronto nel compiere perfettamente ciò che è gradito a Dio, sapendo che all’ora che non pensa il Signore viene». Ancora: «non basterebbe il giorno intero se cominciassi a esporre tutta la portata del comando: «Sta attento a te stesso, sii vigilante». il vigilare non è dunque un atteggiamento marginale della vita cristiana, ma ne riassume la caratteristica verso il futuro di Dio congiungendola con l’attenzione e la cura per il momento presente. il vigilare diviene particolarmente attuale in tempi di crisi o di smarrimento, come i nostri, quando cioè la mancanza di prospettive storiche unita ad una certa abbondanza di beni materiali rischia di addormentare la coscienza nel godimento egoistico di quanto si possiede, dimenticando la gravità dell’ora e il bisogno di scelte coraggiose e austere. La nostra incapacità a riconoscere i segni del Signore che viene si riassume nella frase Non ho tempo, intendendo l’affermazione come segno di una nevrosi tipica di una società che ignora il vero valore e senso del tempo e si lascia attrarre nel vortice della fretta e dell’angoscia. il secondo momento sarà quello di esprimere l’annuncio contrario: Dio ha tempo per l’uomo. egli ci fa dono del suo tempo, cioè del suo modo di essere, della sua vita, che riempie il nostro tempo di gioia e di attesa e sta alla porta proprio per farci un tale dono. il tempo natalizio è proprio contrassegnato da questa «bella notizia» del Dio con noi, l’emmanuele. un terzo momento sarà quello di uno che ha accolto l’annuncio del tempo di Dio che cambia i tempi dell’uomo. È la spiritualità della vigilanza che diventa speranza cristiana perché trasfigura il presente e lo riscatta dall’ansia e dalla frustrazione per aprirlo ad una prospettiva di eternità.

Non ho tempo

La parola «non ho tempo» è caratteristica dell’uomo d’oggi. non è la mancanza di tempo in quanto tale che ci assedia e ci inquieta, e neppure la molteplicità degli impegni che sembrano gravare su di noi o la complessità dei problemi da risolvere. È piuttosto la percezione del fatto che il senso della nostra esistenza dipende strettamente dal tempo. È dunque il tempo stesso, nel suo inesorabile trascorrere (Fugit irreparabile tempus, dicevano gli antichi), nel suo muto linguagg continua rivelazione della nostra condizione di esseri limitati e avviati impietosamente, verso la morte. Due sono le vie attraverso le quali cerchiamo di sfuggire al problema della fine irreparabile del tempo: esorcizzare l’immagine della morte e ostentare il nostro dominio sul tempo. La prima consiste nell’inseguire senza tregua il tempo, sfidandolo con l’ostentazione dell’avere e del fare. Sono tanti i modi di riempire il tempo per illudersi di possederlo. Accenno soltanto a quelli che costituiscono oggi i punti di riferimento da parte di tante persone: il denaro, l’ambizione del dominio, la ricerca spasmodica del godimento. una seconda via è quella di anestetizzare il tempo con il culto della spensieratezza e della trasgressione. oggi tutto ciò assume forme diverse di frustrazione, come la droga, il suicidio, l’alcool, una vita “spenta”, ecc. L’impulso a fuggire il tempo che passa è quindi forte e irresistibile. C’è però un altro modo di affrontare il problema. tra l’illusione di possedere il tempo e la disperazione per il suo venirci meno sta un atteggiamento completamente diverso, evocato con il termine vigilare. vigilare significa anzitutto vegliare, stare desti, rimanere all’erta, significa badare con amore a qualcuno, custodire con ogni cura qualche cosa di molto prezioso, farsi presidio di valori importanti che sono delicati e fragili. vigilare in sintesi è la capacità di ritornare a prendersi il tempo necessario per avere cura della qualità non puramente commerciale della vita.

Sto alla porta: Dio ha tempo per l’uomo

Per L’uomo Con l’incarnazione il Figlio di Dio, mandato dal Padre, fa suo il tempo degli uomini, fino a desiderare la loro compagnia. Gesù viene così a conoscere la nostra situazione, la nostra angoscia: «e cominciò a provare tristezza e angoscia» (Mt 26, 37). La missione del Figlio e quella dello Spirito rivelano la profondità del rapporto tra il Dio vivo e il tempo degli uomini. il tempo viene dalla trinità, creato con la creazione del mondo; si svolge nel seno della trinità, perché tutto ciò che esiste, esiste in Dio, nel quale viviamo, ci muoviamo e siamo; è destinato alla gloria della trinità, quando tutto sarà ricapitolato nel Figlio e consegnato al Padre, perché sia tutto in tutti (cfr 1Cor 15,28). Perché il tempo sia vissuto così, sia cioè santificato, è necessario che alla vigilanza e alla custodia di Dio sul tempo corrisponda la vigile accettazione dell’uomo: se Dio ha tempo per l’uomo e custodisce il senso della sua vita e della sua storia, l’uomo deve aver tempo per Dio e riconoscerlo, nella vigilanza della fede, della speranza e dell’amore, come il Signore della sua vita e della sua storia. All’inizio del nuovo anno facciamo questa professione di fede nel Dio, Maestro e Pastore della nostra vita.

La Speranza

Le dodici ore del giorno (cfr Gv 11, 9) sono vissute pienamente nella luce quando sono vissute nella speranza. La speranza non è soltanto l’attesa di un bene futuro arduo, ma possibile a conseguirsi; è l’anticipazione delle cose future promesse e donate dal Signore che ha avuto tempo per l’uomo, il terreno d’avvento dove il domani di Dio viene a prendere corpo nel presente degli uomini. È la sorella più piccola, come dice Peguy, che tiene per mano e guida verso la mèta le due maggiori, la fede e la carità; grazie alla speranza, il tempo quantificato diviene tempo qualificato, ora della grazia, tempo favorevole, oggi della salvezza, momento gustato nella pace. La speranza è la condizione filiale vissuta riguardo all’avvenire: perché «noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1Gv 3, 2). La vigilanza è l’atteggiamento di chi tiene salda la speranza, non permettendo che sia insidiata la sua condizione di figlio, mantenendo la tensione del desiderio di vedere il volto del Padre e difendendola dall’afflosciarsi nel presente, dal lasciarsi imprigionare dalle banalità quotidiane. il già, accolto dalla fede e vissuto nell’amore, si proietta verso il non ancora della promessa grazie alla speranza; speranza è perciò l’altra faccia della vigilanza, l’andare incontro consapevole, libero e desideroso a Colui che – venuto una volta – sempre nuovamente ci viene incontro fino a che non si compiano i tempi ed egli venga nella gloria.

La luce guardò in basso e vide le tenebre;
«Là voglio andare» disse la Luce.
La Pace guardò in basso e vide la guerra;
«Là voglio andare» disse la Pace.
L’Amore guardò in basso e vide l’odio,
«Là voglio andare» disse 1 ‘Amore.
Così apparve la Luce e risplendette;
Così apparve la Pace e offrì riposo,
Così apparve l’Amore e portò vita.
E il Verbo si fece carne e dimorò tra noi.
(L. housman)

Buon Anno! Don Antonio

Siate Perfetti 1 gennaio 2005
( + tornato alla casa del Padre il 26 dicembre 2021) Profilo

Un ricordo DA UNA CIRCOLARE DI FEBBRAIO 2008

Carissime sorelle dell’Istituto Maria Santissima Annunziata,

don Vito mi ha invitato a scrivervi un messaggio in occasione del 50° Anniversario dell’Istituto. Lo faccio molto volentieri avendo trascorso una buona parte della mia vita con voi.

La circostanza del 50° è un’ottima occasione per ringraziare anzitutto il Signore per i grandi doni offerti all’Istituto: sorelle sante che attraverso la loro offerta, anche della vita, ci hanno comunicato la bellezza della consacrazione e la gioia dell’appartenenza all’Istituto; sorelle che attraverso il loro silenzio e la loro preghiera ci hanno dato un esempio vivo di come si vive la “conformità a Cristo”, secondo l’insegnamento di don Alberione; sorelle che nella sofferenza della malattia hanno dato una grande prova di essere con Cristo crocifisse e abbandonate.

Porto nel mio cuore tutte queste esperienze di bene sperimentate nei 12 anni del mio servizio sacerdotale in mezzo a voi. Per me sono stati anni di intensa vita spirituale, grazie al vostro esempio di fedeltà e interiorità, soprattutto negli Esercizi Spirituali e nei Ritiri avvenuti nei vostri territori. Sono stati gli anni più belli del mio Sacerdozio.

Vi auguro tutto il bene che il vostro cuore desidera e che il mio ha cercato per voi.
Vorrei pregare per voi perché possiate attualizzare quello che don Alberione voleva dalle Annunziatine: «Il fiat costituisce il primo degli atti dell’apostolato di Maria. Introduce Dio Salvatore nel mondo. Quale apostolato! Di lì in avanti la vita di Maria si può intitolare: “Atti (opere) dell’apostolato di Maria”».
Con il mio più grande affetto benedico di cuore voi e le vostre famiglie.
Don Antonio Castelli